Per una volta possiamo dirlo chiaramente: l’umanità ha fatto la cosa giusta, il buco dell’ozono, quella ferita nell’atmosfera che per decenni ha fatto temere per la salute del nostro pianeta, si sta finalmente rimarginando. E non è un caso fortuito. A dimostrarlo, con solide basi scientifiche, è uno studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che attribuisce in maniera inequivocabile il merito a un’azione coordinata su scala mondiale: il bando dei CFC, i composti chimici noti per danneggiare lo strato di ozono.
Per anni gli scienziati hanno osservato una graduale riduzione del buco nell’ozonosfera sopra l’Antartide, in particolare durante la primavera australe, tra settembre e dicembre. Ma fino a poco tempo fa, non era del tutto chiaro se questo miglioramento fosse il risultato diretto delle politiche ambientali adottate oppure il frutto della naturale variabilità atmosferica. Oggi, però, abbiamo una risposta certa: il miglioramento è reale, e siamo stati noi a renderlo possibile.
Gli studiosi del MIT, guidati dalla chimica dell’atmosfera Susan Solomon, hanno utilizzato un sofisticato approccio analitico chiamato fingerprinting (cioè “impronta digitale”) per distinguere l’impatto delle attività umane da quello di fenomeni naturali come il vortice polare, El Niño o La Niña. Questa tecnica, già utilizzata in climatologia per attribuire il riscaldamento globale alle emissioni antropiche, permette di isolare con precisione le cause di un fenomeno specifico. Applicata al caso dell’ozono, ha rivelato una firma inequivocabile: il miglioramento è compatibile con la riduzione dei clorofluorocarburi (CFC) e di altre sostanze ozono-lesive, grazie al Protocollo di Montreal.
La questione del buco dell’ozono è emersa con forza nel 1985, quando i ricercatori della British Antarctic Survey rilevarono per la prima volta una significativa riduzione dell’ozono sopra l’Antartide. Questo “buco” permetteva a una maggiore quantità di radiazione ultravioletta di raggiungere la superficie terrestre, aumentando i rischi di tumori alla pelle, problemi alla vista e danni agli ecosistemi, soprattutto in regioni fragili come l’Antartide.
La causa principale fu individuata nei CFC, composti chimici ampiamente utilizzati in frigoriferi, condizionatori, spray aerosol e materiali isolanti. Questi gas, sebbene stabili a livello del suolo, si scompongono nella stratosfera liberando cloro, che distrugge le molecole di ozono.
Il Protocollo di Montreal: Un Modello di Azione Globale
La risposta internazionale fu rapida e risoluta. Nel 1987, con la firma del Protocollo di Montreal, 90 Paesi si impegnarono a eliminare gradualmente l’uso dei CFC. Oggi quel numero è salito a 197, comprendendo praticamente ogni nazione del pianeta. Il trattato è considerato il più efficace accordo ambientale della storia, un esempio concreto di come la cooperazione internazionale possa affrontare con successo anche le sfide globali più complesse.
Grazie a questo impegno condiviso, la concentrazione di CFC nell’atmosfera è diminuita costantemente negli ultimi decenni, permettendo alla natura di iniziare il suo lento ma costante processo di guarigione.
Nel loro studio, pubblicato su Nature, i ricercatori del MIT hanno eseguito numerose simulazioni atmosferiche, creando modelli alternativi in cui variavano le condizioni iniziali: in alcuni scenari, non venivano eliminati i CFC, in altri si ipotizzava la sola presenza di cambiamenti naturali. Confrontando i risultati ottenuti con le osservazioni satellitari raccolte tra il 2005 e oggi, è stato possibile dimostrare con una probabilità del 95% che il recupero dell’ozono è effettivamente riconducibile alla riduzione dei composti chimici dannosi.
Le proiezioni sono incoraggianti. Secondo Solomon e il suo team, se la tendenza attuale continuerà, entro il 2035 il buco dell’ozono potrebbe scomparire del tutto durante la stagione primaverile australe. Ciò non significa che il problema sia risolto per sempre, ma è un segnale potente: quando la scienza guida le decisioni e i Paesi collaborano, anche le sfide più complesse diventano affrontabili.
Il ricercatore Peidong Wang, primo autore dello studio, sottolinea che questa storia offre una lezione preziosa per le altre crisi ambientali, in primis il cambiamento climatico. «Abbiamo dimostrato che è possibile cambiare rotta. Servono volontà politica, azione rapida e fiducia nella scienza.»
Il successo nella lotta contro i CFC e nella guarigione dello strato di ozono rappresenta una delle rare vittorie dell’umanità sull’inquinamento globale. È la dimostrazione tangibile che uniti possiamo davvero invertire i danni provocati all’ambiente. Non è solo una questione scientifica, ma anche un potente messaggio di speranza: se siamo riusciti a salvare l’ozonosfera, allora possiamo affrontare anche il riscaldamento globale. Ma il tempo stringe, e la storia del buco dell’ozono ci insegna che agire subito fa tutta la differenza.